Essere licenziati non è mai cosa gradita. Tuttavia, può capitare di subire un provvedimento illegittimo e di poter quindi procedere con l’impugnazione del licenziamento.
Ma cosa si intende per impugnazione del licenziamento? E quando un licenziamento è effettivamente non dovuto?
Innanzitutto, per “impugnazione del licenziamento” si intende la procedura di contestazione del provvedimento da parte del lavoratore. Quest’ultimo dovrà aver ricevuto la lettera di licenziamento, da cui si evince la volontà del datore di lavoro di voler recedere dal contratto.
Al contrario, si parla di illegittimità quando il provvedimento è originato da cause discriminatorie, o quando viene effettuato nei periodi tutelati dalla legge (ad esempio, durante una gravidanza).
Alcuni tipi di licenziamento
Sono molteplici le ragioni per cui un datore di lavoro può decidere di porre fine a un rapporto professionale con un proprio dipendente, e a ciascuna tipologia può corrispondere una tutela del lavoratore in parte diversa:
- Il licenziamento per giusta causa è quello che consegue, anche senza preavviso, ad alcune condotte particolarmente gravi poste in essere dal lavoratore (insubordinazione, sottrazione beni aziendali, etc.);
- quello per giustificato motivo soggettivo è disposto in reazione ad una violazione commessa dal lavoratore rispetto agli obblighi previsti dal contratto di lavoro (abbandono immotivato, reiterate violazioni di obblighi disciplinari, etc.);
- il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è quello che si realizza nel caso in cui un’azienda si trovi a dover fare a meno di uno o più dipendenti per motivi tecnici relativi alla produzione o alla riorganizzazione del lavoro, per uno stato di crisi aziendale o di bassa liquidità;
- e quello di tipo collettivo è un licenziamento per giustificato motivo oggettivo che coinvolga un numero di dipendenti pari a 5 o più.
Le procedure di licenziamento
La legge stabilisce termini precisi per l’impugnazione di tutti i provvedimenti di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro:
- Il primo termine è quello di 60 giorni dalla ricezione o notifica della lettera di licenziamento e riguarda la necessaria impugnazione stragiudiziale;
- Il secondo termine (modificato dalla Legge Fornero) è quello di ulteriori 180 giorni per depositare il ricorso giudiziale contro l’atto di licenziamento.
Occorre però prestare attenzione: 180 giorni a far tempo non dal termine ultimo per inoltrare l’impugnativa stragiudiziale, bensì dal giorno in cui questa è stata effettivamente presentata.
A seguito dell’esito vittorioso del giudizio, che cosa può ottenere il lavoratore?
Dopo il Jobs Act è limitata la possibilità di reintegro sul posto di lavoro prevista dallo “storico” art. 18 della Legge 300/70 (c.d. Statuto dei Lavoratori), che rimane valido solo per le vecchie assunzioni a tempo indeterminato, ossia fino al 7 marzo 2015.
Per le assunzioni successive, è previsto il pagamento da parte del datore di lavoro di un’indennità crescente commisurata all’anzianità di lavoro. Al contempo, il reintegro è confermato in tutte le ipotesi di licenziamento discriminatorio, intimato in forma orale o disciplinare nullo per insussistenza del fatto contestato.
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