L’inadempimento contrattuale si configura quando una determinata prestazione, oggetto di un’obbligazione, non viene eseguita correttamente, ossia nel tempo, nel luogo o secondo le modalità prestabilite dalle parti.
Perché, dunque, si possa parlare di inadempimento, occorre l’esistenza di un’obbligazione, che è il vincolo che lega un soggetto a un altro al fine di eseguire una determinata prestazione, sia essa di dare (es. la compravendita), fare (es. il contratto d’appalto) o altro.
L’inadempimento può essere totale, se la prestazione non viene interamente eseguita nel suo complesso, oppure parziale, se la prestazione è stata eseguita, ma in modo diverso dall’obbligazione originaria.
In virtù dell’art.1218 c.c., norma cardine in materia, il debitore che non esegue in modo esatto la prestazione dovuta è tenuto a risarcire il danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità dovuta a causa a lui non imputabile.
Dunque, a fronte di un inadempimento, il creditore ha l’onere di provare solo la fonte del proprio diritto, limitandosi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre sarà il debitore, per andare esente da responsabilità contrattuale, a dover dimostrare il fatto estintivo della pretesa del creditore, a lui non imputabile.
Quando si parla di cause a lui non imputabili, si intende che gli imprevisti o i problemi nella realizzazione di quanto promesso, devono essere eccezionali e non prevedibili, perciò il debitore deve dimostrare di avere fatto tutto il possibile per assolvere i propri obblighi, nel pieno rispetto della diligenza del buon padre di famiglia, fermo restando che nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata (c.d. diligenza qualificata).
La finalità dell’azione risarcitoria art. 1218 C.C. è quella di reintegrare il patrimonio del creditore nella stessa misura in cui si troverebbe se il debitore avesse eseguito correttamente la sua prestazione, che con il risarcimento viene sostituita dal corrispondente valore monetario.
Il creditore, fatto salvo il suo diritto al risarcimento del danno, può quindi esperire due distinte azioni:
- l’azione di esatto adempimento, che mira a soddisfare pienamente il suo diritto, volendo egli ottenere la prestazione o il bene oggetto del vincolo contrattuale nona adempiuto;
- l’azione di risoluzione del contratto (art. 1453 c.c.), attraverso la quale il creditore manifesta formalmente il suo disinteresse finale e assoluto, senza alcuna possibilità di ripensamento, ad ottenere la prestazione da parte del debitore (azione configurabile laddove l’inadempimento sia di non scarsa importanza).
Il danno patrimoniale, ossia il pregiudizio arrecato al patrimonio del danneggiato, può comprendere
- Il danno emergente, consistente nella perdita patrimoniale effettivamente subita (ad es. il valore di un bene non consegnato);
- Il lucro cessante, ossia il mancato guadagno, il lucro che il creditore avrebbe realizzato se avesse utilizzato la prestazione ottenuta.
Il soggetto che ha subito il danno a causa del mancato adempimento contrattuale altrui ha la possibilità di richiedere il risarcimento entro il termine ordinario di prescrizione di dieci anni, fatti salvi i tempi più brevi previsti in via eccezionale per particolari categorie di contratti (es. termine biennale in materia di assicurazioni).
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