Definizione e contesto normativo
Le dimissioni per fatti concludenti, introdotte dalla Legge 203 del 2024, si riferiscono alla risoluzione del rapporto di lavoro derivante da comportamenti del lavoratore che manifestano implicitamente la volontà di cessare il rapporto stesso. La nuova normativa prevede che, in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicato al rapporto o, in mancanza di tale previsione, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro debba comunicarlo alla sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL). In tali circostanze, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore, senza necessità di ulteriori formalità.
Procedura operativa
Il datore di lavoro, una volta superato il periodo di assenza ingiustificata stabilito dal CCNL o, in assenza di tale indicazione, trascorsi quindici giorni, è tenuto a:
- Comunicare l’assenza all’INL competente: la comunicazione deve essere effettuata preferibilmente tramite PEC, utilizzando un apposito modulo che include i dati anagrafici del lavoratore, l’ultimo giorno di presenza, eventuali tentativi di contatto e i recapiti conosciuti.
- Attendere eventuali verifiche dell’INL: l’Ispettorato può decidere di verificare la veridicità della comunicazione, contattando il lavoratore o altri soggetti in grado di fornire informazioni utili. Tali accertamenti devono essere avviati e conclusi tempestivamente, entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione datoriale.
- Considerare risolto il rapporto di lavoro: se non emergono cause giustificative dell’assenza, il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore, esonerando il datore di lavoro dall’obbligo di versare il contributo per il licenziamento (c.d. ticket licenziamento) e precludendo al lavoratore l’accesso alla NASpI, in quanto tale risoluzione avviene al Centro per l’Impiego come una dimissione volontaria.
Diritti del lavoratore
Il lavoratore ha la possibilità di evitare la risoluzione del rapporto dimostrando l’impossibilità di comunicare l’assenza per cause di forza maggiore o per fatti imputabili al datore di lavoro. L’onere della prova ricade interamente sul lavoratore, che dovrà fornire elementi concreti e documentati, come certificazioni mediche o altre attestazioni ufficiali.
Implicazioni contributive e previdenziali
La risoluzione del rapporto per fatti concludenti esonera il datore di lavoro dal versamento del contributo per il licenziamento, poiché la cessazione non è considerata un licenziamento vero e proprio, ma una dimissione. Inoltre, il lavoratore non ha diritto alla NASpI, in quanto la cessazione del rapporto è attribuibile alla sua volontà.
Adempimenti amministrativi
In caso di dimissioni per fatti concludenti, il datore di lavoro deve indicare la cessazione nel flusso Uniemens utilizzando il nuovo codice “1Y”, che identifica la risoluzione del rapporto ai sensi dell’articolo 26, comma 7-bis, del D.Lgs. 151/2015.
Considerazioni finali
La reintroduzione delle dimissioni per fatti concludenti offre ai datori di lavoro uno strumento per gestire le assenze ingiustificate prolungate, semplificando le procedure di risoluzione del rapporto e riducendo i costi associati, evitando abusi che potrebbero portare a licenziamenti indesiderati e accessi ingiustificati alla NaspI. Tuttavia, è fondamentale che i datori di lavoro seguano scrupolosamente la procedura prevista dalla normativa per evitare possibili contenziosi e garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori.
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