Dal “Risparmiometro” all'”Evasometro”
Debutta in questi giorni il cosiddetto “Evasometro” sulle persone fisiche, sotto forma di controlli incrociati tra movimenti bancari e dichiarazione dei redditi dei contribuenti.
Il meccanismo dell’Evasometro si basa su un algoritmo in grado di incrociare i movimenti bancari dei contribuenti con i redditi comunicati al fisco. L’obiettivo alla base di questo procedimento è quello di scovare gli evasori in maniera selettiva e con margini di errore modesti.
L’Evasometro non è una novità, ma è già stato introdotto dal governo Monti nel 2012 con il nome di “Risparmiometro”. Tuttavia, per renderlo operativo ci sono voluti 7 anni, a causa di problemi in materia di privacy.
Con questo strumento, grazie anche alla fattura elettronica, allo scontrino elettronico e all’invio telematico dei corrispettivi, il Fisco conta di stanare gli evasori e di recuperare, così, € 10-15 miliardi.
“Evasometro” e controlli incrociati
I controlli dell’Evasometro prendono in considerazione 5 i valori:
- giacenza media;
- entrate e uscite mensili;
- saldo iniziale e saldo finale.
In particolare, i dati esaminati si riferiscono ai seguenti prodotti:
- conti correnti;
- carte di credito;
- conti deposito;
- buoni fruttiferi e libretti postali;
- obbligazioni, titoli di Stato, azioni;
- rapporti fiduciari;
- polizze assicurative, fondi pensione e fondi di gestione collettiva del risparmio.
Spetterà al contribuente giustificare le presunte anomalie, fornire la documentazione necessaria, ossia, “dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento, oppure, avviare, in caso di accertamento, il procedimento per adesione”. Chi verrà segnalato alle autorità competenti, quindi, dovrà dare prova di non aver commesso nessuna azione fraudolenta e dimostrare la provenienza lecita dei redditi non dichiarati al Fisco.
Trattandosi di persone fisiche, le difficoltà di ricostruzione dei movimenti possono essere notevoli, non esistendo scritture contabili, e dovendo giustificare entrate e uscite a distanza di anni.
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